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Il redditest e la famiglia come soggetto fiscale

Studio Di TeodoroIl Redditest è il prodotto informatico, messo a disposizione dall’Amministrazione finanziaria che consente al contribuente di verificare se le  spese sostenute nel corso dell’anno sono coerenti con i redditi familiari indicati in dichiarazione dei redditi.

Il ReddiTest in buona sostanza consente al contribuente di valutare la corrispondenza fra le spese fatte e il reddito dichiarato per, eventualmente, correggere quanto indicato in dichiarazione.

Si tratta dunque di uno strumento preventivo rispetto all’attività di accertamento avviata dall’Amministrazione finanziaria, e dunque finalizzato a prevenire (qualora il redditest evidenzi una chiara incongruenza fra spese sostenute e reddito dichiarato e il contribuente corregga per tempo la propria dichiarazione) l’iniziativa  dell’Amministrazione finanziaria, volta ad accertare ad esempio la provenienza delle risorse utilizzate per finanziare un dato acquisto.

I dati richiesti nel questionario rispecchiano in ogni caso i criteri adottati dall’accertamento sintetico e dunque ai fini dello stesso rilevano l’ammontare degli acquisti e delle spese significative sostenute da tutta la famiglia, la composizione del nucleo familiare, l’area geografica di residenza, i risparmi e gli incrementi patrimoniali.

La mancata coerenza non è automaticamente indicativa di evasione fiscale. Essa potrebbe infatti essere opportunamente giustificata ad esempio con una eredità o una con donazione. La caratteristica principale di tale strumento, tuttavia, risiede nel fatto che al centro di ogni valutazione non è posto più il reddito prodotto dal singolo contribuente ma quello imputabile alla famiglia cui egli appartiene. Una vera e propria novità per l’ordinamento fiscale italiano, basato tradizionalmente sulla tassazione dell’individuo. E infatti, le prime informazioni da inserire nel questionario si riferiscono alla famiglia e sono state a tal proposito infatti individuate undici tipologie familiari, differenziate per numero ed età dei componenti.

Il Software considera inoltre le seguenti 7 macro-categorie di spesa, abitazione, mezzi di trasporto, assicurazione e contributi, istruzione, tempo libero e cura della persona, spese varie, investimenti immobiliari e mobiliari netti. Il reddito familiare è stimato in base a procedure statistiche e alle voci di spesa è attribuito un coefficiente che misura la relazione tra il reddito, la spesa medesima conosciuta e gli altri dati non noti, ricostruendo, in questo modo, le informazioni mancanti, comprese quelle relative ai consumi indispensabili, come per esempio quelli alimentari.

Se i dati inseriti risulteranno fra loro coerenti uscirà luce verde. La luce rossa, invece, invita ad effettuare una ulteriore considerazione per verificare che non siano sfuggiti, nella compilazione della dichiarazione dei redditi, dati “sensibili” ai fini fiscali.

Il ReddiTest, pertanto, da rilievo alla famiglia come nuovo soggetto giuridico/fiscale. Questo nuovo soggetto tuttavia, è qui considerato tale non da un punto di vista prettamente giuridico ma in base al dato di fatto della coabitazione fra individui. La prima schermata infatti visualizza la composizione del nucleo familiare e in corrispondenza della voce “la famiglia è costituita da” si deve selezionare, tra le varie categorie, quella che appartiene al proprio nucleo familiare “reale”. Più in dettaglio, i tipi di famiglia considerate dal ReddiTest sono la Persona sola con meno di 35 anni, la persona sola tra 35-64 anni, la persona sola di 65 anni o più, la coppia senza figli con meno di 35 anni, la coppia senza figli tra 35-64 anni, la coppia senza figli di 65 anni o più, la coppia con un figlio, la coppia con due figli, la coppia con tre o piu figli, il monogenitore, altre tipologie. Dunque la coppia non sposata che vive con i figli è considerata come “coppia con due figli” ai fini del redditometro.

Come più sopra anticipato tuttavia, l’introduzione di un tale strumento di valutazione del tenore di vita rapportato al reddito dichiarato, non è da confinare nella mera attività accertativa da parte dell’Amministrazione finanziaria, ma va valutato anche e, forse, soprattutto, in rapporto alla sua valenza nell’ambito del dibattito politico e dottrinario in corso circa l’identificazione dlla famiglia come autonomo soggetto ai fini fiscali. Esso pertanto si inserisce nel dibattito, circa l’opportunità di dare un rilievo maggiore alla famiglia nelle politiche non solo fiscali. E tale aspetto si innesta a sua volta sull’altro argomento circa quelli che sono i criteri per considerare o meno, un dato nucleo di persone come famiglia (sempre ai fini di applicazione delle politiche familiari), degno, come tale, di adeguata protezione (si ripete, da vari punti i vista, giuridico come fiscale).

In tale ambito inoltre si innesta l’argomento “quoziente familiare” al quale in qualche modo, l’introduzione del redditest fa riferimento. In buona sostanza, la famiglia ai fini fiscali non è ancora considerata come soggetto autonomo (come avviene in altri ordinamenti fiscali) ma, in qualche modo il redditometro sembra voler anticipare tale argomento nel dibattito in corso.

In tale senso, una ricerca Eurispes ha evidenziato come, introdurre in Italia il quoziente familiare comporterebbe un risparmio medio annuo di imposta di circa 800 euro per una famiglia tipo, risparmio che aumenta al crescere del reddito e del numero dei componenti della famiglia. È chiaro che un’impostazione del genere rappresenterebbe una rivoluzione per l’ordinamento tributario italiano.

L’applicazione dell’imposta personale sul reddito delle persone fisiche può seguire due diverse impostazioni. Essa infatti può essere applicata all’individuo oppure alla famiglia (considerato come soggetto autonomo ai fini fiscali). In entrambi i casi tuttavia, la progressività del tributo richiede di integrare in qualche misura tassazione individuale e familiare. La progressività dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, del resto, rende la scelta se tassare il reddito individuale o familiare una questione di difficile soluzione. Da un lato infatti la capacità contributiva del singolo individuo e il suo il livello di benessere dipendono non solo dal reddito autonomamente prodotto, ma anche dalle risorse del nucleo a cui l’individuo appartiene e dalla sua numerosità. Dall’altro invece, si tende ad affermare l’autonomia del singolo individuo nelle scelte di spesa del reddito da lui prodotto. La questione è dunque riconducibile a quella più generale di misurare la capacità contributiva di soggetti (individui e/o famiglie) diversi in termini di equità orizzontale (funzione cioè della diversa capacità contributiva).

Nel caso della tassazione individuale, l’imposta si applica infatti al reddito di ciascun membro del nucleo familiare e si tiene conto della presenza di familiari a carico con detrazioni dall’imposta o con deduzioni dall’imponibile, nel caso della tassazione familiare, invece, l’aliquota media dell’imposta dipende dal reddito  familiare complessivo. In questo secondo approccio inoltre, possono essere seguite due impostazioni alternative per la tassazione del reddito e cioè, quello del cumulo dei redditi e quello della tassazione per parti. A sua volta, tale secondo approccio può essere implementato secondo due distinte varianti che sono quella dello splitting (tipico di USA e Germania) e quella del quoziente familiare (caratteristico invece del sistema fiscale francese).

In particolare la tecnica dello splitting prevede che il reddito familiare sia determinato dalla somma dei redditi dei coniugi. Il reddito complessivo così calcolato viene diviso per due e l’aliquota d’imposta è applicata alle singole quote (evidentemente paritetiche) così determinate. Una volta calcolata l’imposta, questa viene moltiplicata per due per determinare quanto versare. Tale variante tiene conto inoltre della presenza di figli o altri familiari a carico con applicazione di deduzioni e detrazioni.

Con il quoziente familiare invece l’aliquota da applicare e l’imposta dovuta si calcolano su una quota del reddito, individuata dividendo il reddito complessivo familiare per un quoziente, che si ottiene attribuendo a ciascun individuo un coefficiente. L’imposta complessivamente dovuta dal nucleo si ottiene moltiplicando l’imposta calcolata su ciascuna “parte” per il quoziente.

E’ ovvio che la scelta di un sistema o dell’altro non può mai essere neutra rispetto allo stato civile del singolo individuo. Tale ultimo risultato (ossia la neutralità rispetto alle situazioni soggettive del singolo) si ottiene infatti solo con la tassazione su base individuale. Il cumulo dei redditi dei coniugi è, invece,  oggettivamente disincentivante rispetto al matrimonio, poichè il sistema di tassazione progressiva comporta un aumento dell’imposta dovuta, mentre nel caso della tassazione per parti, se i coniugi sono entrambi percettori di redditi di ammontare sensibilmente diverso e l’imposta è progressiva, la formazione di un nucleo familiare legalmente riconosciuto comporta un vantaggio fiscale. I paesi che adottano lo splitting, o il quoziente, hanno adottato vari correttivi al fine di attenuare la non neutralità di questi sistemi rispetto alle diverse forme di convivenza. Ad esempio, in Francia il vantaggio fiscale derivante dal sistema di tassazione per le coppie sposate è esteso anche a quelle non legalmente sposate (con l’introduzione dei PACS e, ovviamente il patto di diritto civile è riconosciuto a fini fiscali). In Germania, invece, il vantaggio fiscale attribuito alle coppie legalmente riconosciute è esteso alle coppie di fatto con la previsione di una specifica detrazione.

Per tornare in Italia invece, nel 1976 una sentenza della Corte Costituzionale ha dichiarato non costituzionale il cumulo dei redditi dei coniugi poichè, negando alla moglie lo status giuridico di contribuente (dovendo questa imputare i suoi redditi al marito) esso è incompatibile con il principio di uguaglianza. Inoltre, la Corte Costituzionale ha giudicato non conforme il vantaggio che il sistema tributario del cumulo dei redditi attribuisce alla convivenza di fatto rispetto al matrimonio. Pertanto in Italia l’unità di misura per il calcolo della capacità contributiva ai fini IRPEF è tradizionalmente l’individuo, con l’introduzione, attraverso il sistema delle deduzioni e delle detrazioni, dei correttivi per considerarne lo status giuridico.

Per tornare all’argomento di tale articolo dunque, con il ReddiTest viene rimessa, al centro del palcoscenico la famiglia quale soggetto fiscale, sia pure solo per calcolarne, ai fini dell’accertamento, la capacità contributiva, riproponendo il dibattito sull’opportunità di introdurre, anche in Italia il sistema di calcolo delle imposte basato sul quoziente familiare. Tutto sommato, se da un lato l’applicazione di un tale sistema fiscale comporterebbe una  perdita immediata derivante da un minor gettito, va anche considerato che, tale sistema di tassazione, lasciando  maggiori risorse finanziarie nelle tasche delle famiglie, potrebbe indurre queste ultime  a spendere di più e, di conseguenza le maggiori imposte sui consumi potrebbero compensare i minori introiti provenienti dalla tassazione diretta (basata sulla disponibilità di reddito). Invero, tuttavia, un risultato solo sperato o, che comunque potrebbe realizzarsi solo in parte. Di certo, l’introduzione del quoziente familiare dovrebbe comunque avvenire in modo graduale e progressivo, venendo magari anticipata dal passaggio dal sistema delle detrazioni a quello delle deduzioni, ma non c’è dubbio che rappresenterebbe una importante misura di politica fiscale, soprattutto in un contesto sociale come quello italiano.

A favore del quoziente familiare propendono anche una serie di considerazioni quali ad esempio quella secondo la quale, il sistema applicato a tutt’oggi in Italia, a parità di reddito, penalizza le famiglie monoreddito e quelle con figli a carico. L’applicazione di tale sistema consente inoltre, attraverso l’applicazione di opportuni correttivi, come concretamente avviene nei sistemi che lo adottano, di attuare anche politiche sociali, attraverso la leva della politica fiscale. In Francia ad esempio, l’applicazione del quoziente familiare, concretamente comporta la determinazione delle quote che spettano a ciascun contribuente (per ogni tipologia di contribuente occorre considerare le persone che sono a suo carico), la divisione del reddito complessivo per il numero di quote, il calcolo dell’imposta dovuta sul quoziente familiare e infine, la moltiplicazione dell’imposta dovuta per ogni quota per il numero delle quote stesse. Ulteriormente si consideri poi che i celibi, i divorziati e i vedovi senza figli a carico, hanno diritto a una quota, i coniugi senza prole a carico hanno diritto a due quote, le persone invalide a carico hanno diritto a mezza quota supplementare, il celibe o divorziato con un figlio a carico ha diritto ad una quota e mezza, il celibe o divorziato con due figli a carico ha diritto a due quote, la coppia sposata o il vedovo con un figlio a carico ha diritto a due quote e mezzo. E che, ancora, ad un soggetto sposato, per ogni figlio, a partire dal terzo, spetta una quota intera anziché mezza quota, misura quest’ultima finalizzata a sostenere la famiglia.

In buona sostanza dunque, a parità di reddito familiare, l’imposta da versare aumenta al crescere dei componenti e tale risultato è ottenuto diminuendo la progressività dell’imposizione al crescere dei componenti la famiglia. Le aliquote progressive non vengono infatti applicate sul reddito familiare, ma sul reddito medio pro-capite. Va notato che, con tale sistema v’è un concreto rischio di concedere benefici crescenti ai redditi più alti, rischio scongiurato, tuttavia introducendo un tetto massimo al beneficio ottenibile. Per i redditi più bassi invece è possibile introdurre una no-tax area e diminuendo le aliquote applicabili agli scaglioni più bassi.

Dunque e, a conclusione del presente articolo, vanno annoverate le due distinte tesi, quella dei fautori della famiglia come distinto soggetto ai fini fiscali e coloro che invece propendono per una tassazione del reddito su base individuale. Da un lato infatti è vero che poiché in una famiglia le risorse sono in comune, è irrilevante chi sia a guadagnarle e quello che conta è, invece, da una parte, l’ammontare del reddito familiare, e, dall’altra, il numero di soggetti che ne fanno parte. Un aspetto, questo che invece con la tassazione su base individuale è completamente trascurato.

Inoltre e forse in via preliminare rispetto all’adozione di una soluzione (la tassazione su base individuale) oppure l’altra (tassazione su base familiare), occorrerebbe forse soffermarsi  sul concetto di famiglia che si vuole intendere. Tale figura infatti, nella società contemporanea è in continuo evolversi. Basti pensare ai figli dei divorziati che vivono parte del tempo con ciascuno dei genitori, alle famiglie di fatto, agli anziani che trascorrono alcuni mesi con i figli adulti, a coloro che, pur risiedendo in abitazioni diverse hanno una relazione stabile, agli studenti fuori sede e che non è chiaro se facciano ancora parte della famiglia di origine.

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